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150 LIBRO SETTIMO — 1815.

campi, perocchè quello ritirandosi, lo avrebbe menato lontano dalla frontiera del regno, e dato tempo ed agevolezza alle opere di Bianchi, degl’Inglesi e del re di Sicilia, ma desiderava di essere attaccato dal Neipperg, confidando, mercè il maggior numero di combattenti e la maggior arte, di vincerlo. Perciò nella notte stessa levò il campo della sponda del Ronco, sguarnì Forlimpopoli, retrocedè e sebbene ordinato a battaglia, parte delle sue schiere mostrò, parte nascose. Dalle quali apparenze non adescato il Tedesco, fece passare quietamente l’intero giorno della sperata guerra. Al dechinare del sole il re mandò a Neipperg un suo uffiziale, che, sotto specie di chieder pace o tregua, espiasse ne campi la cagione delle ardite mosse della notte e del troppo senno del giorno. L’ uffiziale subito accolto e trattenuto negli alloggiamenti del generale tedesco, nulla scoprì e recò a Gioacchino risposte cortesi ma contrarie agli accordi.

LXXXVII. L’esercito napoletano, già impoverita Cesena di vettovaglie, passò a Rimini. Gli ordini furono mutati: la legione prima andò in retroguardia, la terza al centro, però che il capo di questa, general Lecchi, si mostrava scorato, e, come avviene, trasfondeva ne’ soggetti il mal concepito terrore; era il Lecchi bresciano, chiaro nelle guerre d’Italia e di Spagna, ma col mutar di età e di fortuna mutò di animo. La retroguardia dovea sola trattenere tutto l’esercito del Neipperg quando il resto delle schiere napoletane si affronterebbe con Bianchi; e perciò abbisognavano squadre obbedienti a buon reggitore. Restammo a Rimini due giorni; nel qual tempo il general Napoletani lasciato a Cesenatico con mille e ottocento soldati tra fanti e cavalieri, sorpreso da forze minori e cacciato dagli alloggiamenti, riordinò i fuggitivi a distanza del nemico; e, ritornando agli assalti, ripigliò le perdute posizioni, con perdita di non pochi morti o feriti e trecento prigioni. Il generale senz’abito, ma che aveva del suo grado le armi e ’l cappello, incontratosi nelle anguste vie del villaggio ad un capitano di cavalleria ungherese, l’un l’altro, scoperti appena, s’intimarono di arrendersi; passarono dalle voci al combattere: e il generale a piede uccise il nemico a cavallo. Le sue schiere nella notte sloggiarono; e ritirandosi dietro al Rubicone, accamparono presso Rimini.

Tutto l’esercito di Napoli, marciando o arrestandosi, come esigevano le strettezze del vivere o l’avvicinarsi del general Bianchi, passò da Rimini a Pesaro, indi a Fano, a Sinigaglia, ed il 29 aprile ad Ancona: il re, il 30 andò a Macerata dov’erano arrivate il giorno innanzi le due legioni della guardia, le quali da lunge per le sue fogge scoprendolo, si posero a mostra, e con voci festive Lo accolsero; sperando, lui capo, riscattare le vergogne de’ non proprii falli