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LIBRO SETTIMO — 1815. 141

davano le legioni della guardia i generali Pignatelli, Strongoli e Livron; quelle della linea i generali Carascosa, d’Ambrosio, Lecchi e Rossetti; il generale Millet era capo dello stato-maggiore, dirigeva il genio il generale Colletta, l’artiglieria il generale Pedrinelli; teneva il comando supremo il re. L’artiglieria, i zappatori, la cavalleria, armi che richieggono studio d’arte e lungo uso di guerra, erano meno buone della infanteria. De’ fanti tre reggimenti venivano dagli uomini di carceri e di galee; dieci di venticinque generali, tredici di ventisette colonnelli erano Francesi, e le recenti discordie tra stranieri e nazionali avevano lasciato germi scambievoli d’odio e sospetto. La disciplina era debole e varia, le armi scarse, le amministrazioni poco fedeli, nulla il tesoro, aspettando lo fornissero i tributi de’ paesi vinti.

A’ 22 di marzo mossero quelle schiere formate, come ho detto, in due esereiti , de’ quali l’uno (due legioni della guardia) per la via di Roma, e l’altro (quattro legioni) per le Marche. Si chiese al pontefice amichevole passaggio, e lo negò; si ripeterono, e pur vanamente, le inchieste; procedeva intanto l’esercito per le vie di Frascati, Albano, Tivoli e Foligno. Ed allora il papa, o che temesse d’insidie, o che volesse simularne il pericolo, nominò una reggenza al governo, e precipitosamente, come di fuga, passò a Firenze, indi a Genova; molti cardinali lo seguirono, dipoi Carlo IV re di Spagna, ed altri personaggi di fama. Le quali sollecitudini, benchè derivassero da zelo di parte o ambizione, si dicevano da necessità o prudenza. Accresceva pietà il veder Roma deserta, e i sacerdoti fuggiaschi nella settimana santa, dopo cominciate ed interrotte le cerimonie divine. Ma l’esercito napoletano, non toccando la città, rispettando il governo pontificio nelle terre che attraversava, pagando al giusto i viveri, serbò disciplina severissima.

LXXVIII. Il re Gioacchino in quel mezzo, recatosi ad Ancona per meglio provvedere alla guerra, faceva ripetere da’ suoi ministri al congresso, ch’egli, fedele a’ trattati, confermava i patti dell’alleanza con l’Austria; ma che fra tanti moti e nemicizie credeva necessario alla sicurezza dei suoi stati avanzare con l’esercito verso il Po. Vano infingimento, perocchè agli antichi sospetti erano sopraggiunti gli svelati maneggi co’ ribelli della Lombardia, e l’ajutata fuga di Bonaparte, e la gioja per ciò dissimulata invano nella reggia, e gli arditi discorsi, e l’esercito accresciuto e mosso. E quindi l’imperatore d’Austria, ordinate alla guerra e spedite in Italia nuove schiere, ne foce capo il generale Frimont, dal cui cenno dipendevano i generali Bianchi, Mohr, Neipperg e Wied: quarantottomila fanti, settemila soldati di cavalleria e del treno con sessantaquattro cannoni. Di tutta quell’oste il maggior nerbo accampava dietro al Po, e la minor parte sull’altra sponda, avanzando i reggimenti a