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LIBRO SETTIMO — 1813. 105

interne; avevano i secondi la superiorità del numero, perocchè cinquecento mila di loro combattevano trecentomila Francesi; ma di questi era unico l’esercito, una la mente, andavano tutti con un solo volere; e di quelli gli eserciti, le menti e gl’interessi erano varii.

Il re Gioacchino, in quei giorni di vicina guerra, offertosi all’imperatore con riverenza e contegno, n’era stato lietamente accolto ed abbracciato; avvegnachè gli usitati affetti ed il comune pericolo sopivano gli odii e la memoria delle recenti discordie. Il re, nella ordinanza dell’esercito non aveva proprio uffizio; stava a fianco di Bonaparte, lo seguiva ne’ combattimenti della Slesia e della Boemia; aspettava (impaziente a prorompere) il comando dell’imperatore; e se fosse permessa una immagine a’ severi discorsi della storia, era fulmine trattenuto in man di Giove.

Gli eserciti alleati sboccando dalla Boemia, marciavano contro il campo di Dresda, perno de’ movimenti strategici de Francesi; due imperatori russo ed austriaco, il re di Prussia, le schiere più agguerrite, i generali più prodi e più esperti erano fra quelle linee. Vi stavano pure, più per consiglio che combattenti, i generali Moreau e Jomini: dell’uno i casi sono assai noti per le istorie di Francia; l’altro nato Svizzero, impegnato agli stipendii francesi, capo in quella guerra dello stato-maggiore del maresciallo Ney, avea giorni avanti disertate le bandiere, e prese le parti e il soldo del nemico russo. Incontraronsi que’ due colpevoli nella tenda dell’imperator Alessandro, l’un l’altro guatandosi biecamente, Moreau dimandava: «Quali offese vendica Jomini col tradimento?» E Jomini, di Moreau: «Se fossi nato in Francia non sarei nelle tende dei Russi.» Moreau ne’ seguenti giorni percosso da palla francese morì miseramente; a Jomini, non la scienza di guerra, non meritata fama di sommo autore, e ’l favor di Alessandro, e la causa vinta bastarono a cancellar la macchia di quella colpa.

Il maggior nerbo degli eserciti alleati assaltava Dresda, difesa da quindicimila appena giovani Francesi o malsicuri confederati, ma vi accorsero celeremente dalla Slesia con nuove schiere Bonaparte e Murat, e sì che resistendo a fatica nei primi giorni, si adunarono in città centocinquemila Francesi, avendo intorno duecentomila nemici. In quello esercito di Francia, ordinato a battaglia, reggeva il tutto e guidava il centro Bonaparte, l’ala sinistra Ney, la diritta Murat. A’ 26 di agosto fu assaltata la città, entro la quale, dietro alle chiuse porte, stavano schierati e stretti i difensori; ma ad un cenno del capo, aperte le barriere, ne uscirono come torrenti di guerra le preparate colonne; Gioacchino, primo e reggitore di trentamila soldati a cavallo, attaccando sul fianco l’esercito nemico, lo rompeva, spingeva i fuggenti su le schiere ordinate, e così a tutti,