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6 LIBRO SESTO — 1806.

governo; ma il popolo progrediva, e sebbene il re adoperasse asprezze gravi contro i migliori, e molti ne morissero per guerre e condanne, pur la civiltà si diffondeva, cresceva il bisogno di leggi migliori.

Non mai società è stata sconvolta quanto la napoletana ai primi anni del XIX secolo: il potere del re illimitato, ma senza scopo; nemmeno quello della tirannide perchè gliene mancava la forza; i sapienti avviliti e senza speranza, nemmeno nella servitù perchè disadatti all’obbedienza e non creduti; il ceto dei nobili disordinato, infermo, non spento; tal che non era nobiltà nè popolo: la fazione del 99 contumace alle leggi, rapace, potentissima al distruggere, al creare impotente. Era perciò impossibile riordinare lo stato con le proprie forze dei proprii elementi; bisognava nuovo re, nuovo regno, ed avvenimento che per la sua grandezza sopisse le domestiche brighe e desse scopo comune alle opere ed alle speranze.

CAPO SECONDO.

Arrivo in Napoli dell’esercito francese; poi di Giuseppe Bonaparte. Fatti varii di guerra e di regno.

VII. Fuggente per mare il re, In regina e la famiglia, i principi Francesco e Leopoldo ritirandosi coll’esercito per le Calabrie, una reggenza in Napoli timida ed inesperta, il regno aperto alle schiere nemiche, la città non difesa, i partigiani del re fuggitivi o nascosti, la plebaglia ondeggiante tra l’avidità delle rapine e ’l timor del castigo, gli onesti in arme a difesa della propria vita ed a sostegno degli ordini della città: tal era lo stato del regno ai primi di febbrajo del 1806; nel qual tempo cinquantamila Francesi, guidati dal maresciallo Massena, conducevano al trono Giuseppe Bonaparte col nome di luogotenente dell’imperatore Napoleone. Quello esercito, superata senza contrasto ta frontiera, avanzando per le vie di Aquila, Ceperano e Fondi, intimò arrendersi ai comandanti di Civitella, Pescara, Capua e Gaeta: che non però si arresero, benchè le consuete trascuratezze di guerra, e non so quali speranze di pace, avessero ritardato i provvedimenti di assedio. Intanto l’esercito procedeva. La città di Napoli aveva in quel tempo vergognoso privilegio, per far sicura se stessa rassegnar le chiavi al vincitore giunto in Aversa, e patteggiare ignobile passeggiera quiete a prezzo di durevole servitù. Perciò la paurosa reggenza concordò per ambasciatori, come ho narrato nel precedente libro, rimettere al nemico le fortezze, i castelli, i luoghi fortificati trasgredendo il comando lasciatole dal re Ferdinando di non mai cedere (qualunque fosse le estremità dei casi) le fortezze del regno.