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CAPO XXII. 133

avente Giove e Giunone bambini in sul grembo1. Tanti piccoli bastoncelli di querce segnati con misteriosi caratteri o figure, indi mischiati da un giovanetto, e tratti dal supplicante, porgevano queste famose sorti prenestine. E sì tanto le cose umane parean dipendere appieno dal mobile arbitrio di quella dea possente, che per la cecità de’ mortali, diceva un miscredente antico2, non aver mai veduto al mondo luogo nessuno dove la Fortuna si fosse più fortunata. Nè si vuol tacere dei presagi che ugualmente dalia Fortuna prendevano i Volsci in Anzio, dove due sacri automati3, avverso l’uno, l’altro propizio, annunziavano con cenni artificiati buone o rie venture. In quel modo che la Giunone di Vejo, altra itnmagine fabbricata con meccanico artifizio, nè tocca mai se non da certa stirpe sacerdotale4, dava col capo i responsi, secondo che importava alle mire de’ suoi custodi5. Albunea era la Sibilla di Tivoli6, ministra dei custoditi oracoli; guardiana ella stessa del

  1. Cicer. de Div. ii. 31.; Propert. ii. 32. 3.
  2. Clitomachus ex Carnead. ap. Cicer. l. c.
  3. Sorores. Martial. v. ep, 1.; Horat. od. 35. et Vet. interp. ad h. l.; Macrob. Sat. i. 23.
  4. Quod id signum, more etrusco, nisi certae gentis sacerdos, adtrectare non esset solitus, Liv. v. 22.
  5. In pari modo nel tempio maggiore d’Ierapoli le statue degli iddii vi sudavano, si movevano da se stesse, e vi davano oracoli; il più maraviglioso era l’automata di Apollo. Lucian. de Dea Syr.
  6. Lactant. Div. inst. i. 6. cum not.