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CAPO XXII. 127

stema di generazione e d’apoteosi molto più comprensibile alle menti volgari, che non quello di emanazione proprio dei soli misteri. Fino dall’origine l’unione latina si componeva di molte città o popoli, l’uno dall’altro distinto, comechè ristretti insieme per affinila di stirpe e vincoli di religione1. In guisa che oltre a’ suoi iddii potenti, e al pari custodi della lega, come Giove Laziale adorato sul vertice del monte Albano, o vero Giove Imperatore venerato a Preneste2, ciascun comune da per se coltivava e riveriva in casa numi difensori della patria. Majo, tra questi, nel picciol cantone di Tuscolo s’avea per simile a Giove3: ogni altra terra venerava, come Preneste, i suoi dei indigeti, ed aveva particolari sacerdozj, cerimonie sante, e propri sacrifizi4. Moltissimi altri dei latini, massimamente campestri, presedevano in comune alle cose villesche, o quasi tutti i loro simboli tendevano a quelle: in specie Fauno, maggiore di tutti, Silvano, Pale dea della pastorizia, Anna Perenna madre di fecondità, ed Inno, quindi trasformato per simigliante natura silvestre nell’arcadico Pane5. Nè solamente la fantasia di que’ buoni pastori e lavoratori rappresentava loro i boschi, i mon-

  1. Vedi T. i. p. 215.
  2. Liv. vi. 29.
  3. Macrob. Sat. i. 12.
  4. Ibi erant Pontifices et dii indigetes, sicut etiam Romae. Serv. vii. 678.; Idem, ad Georg. i. 498.
  5. Serv. vi. 775.; Arnob. iii. p. 113.