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252 CAPO XII.

dell’umana credulità, non può dirsi tampoco al tutto spenta nel luogo dove nacque1.

Queste divolgate opinioni d’arti magiche e d’incantamenti porsero senza dubbio cagione alle leggende, che facevano d’Angizia, diva indigena, una sorella di Circe o la stessa Medea2: in quel modo che ne’ Volsci il mito stesso di Circe era stato accomodato, come pensa Strabone, a spiegare attamente la natura di que’ monti, creduti feraci di radici e d’erbe venefiche3. Però d’assai più strane furono le novelle narrate da un Gellio, per le quali i Marsi si dicean venuti di Lidia con Marsia loro re, edificatore d’Archippe, dipoi sprofondata nel lago4. Ovidio, il quale come poeta avea dritto a vagheggiare ogni bella finzione, poteva cantare lecitamente, che la sua Sulmona prendesse l’origine e il nome da Solimo di Dardano troiano, uno dei compagni d’Enea5. A un modo Silio scriva pure poetando essere i Marsi oriondi della Frigia, e

  1. Dal lago di Celano vengono tuttodì quei ciurmatori, che vanno attorno barando il mondo segnati con la serpe nella spalla; benchè altrettanto destri e sicuri nel maneggiare serpenti. I paesani stessi attribuiscono confidentemente a un S. Domenico di Cullino, quel che i loro antenati speravano in Angizia e Medea.
  2. Coelius (l. Gellius) ap Solin. 8.; Serv. vii. 750.
  3. Strabo v. p.160; Auct. de mirab. p. 1156. In fatti ivi attorno abbonda la Crepis Licera: pianta cicoracea di micidiale velenosità.
  4. Plin. iii. 12.; Solin. 8.
  5. Ovid. Fast. vi. 79-81.; Sil. ix. 70-76.