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— Non aspetterò l’occasione — esclamò Morris; — non appena vedrò quella cassa l’aprirò e distruggerò il mostro, fosse pure dinanzi a migliaia di spettatori e a rischio di essere fustigato poi.

— Bravo ragazzo! — disse il dottor Van Helsing. — Ma vedete, ragazzo mio, occorrerà affidarci un poco alle circostanze.

«Per il momento, pensiamo a partire. Vado ad occuparmi dei biglietti.

Un po’ più tardi.

Tutte le mie carte sono in ordine. Ho fatto il mio testamento. Mina, se sopravvive a me, sarà la mia sola erede.

La sera cade. Mina mi sembra a disagio. Io temo il tramonto.

15 ottobre. Varna.

Lasciato Londra il 12. Eravamo a Parigi la sera stessa ove ritenevamo i nostri posti nell’Express-Orient. Quarantott’ore di viaggio. Siamo giunti qui alle cinque di sera.

Lord Godalming è andato al Consolato per sapere se non ci fossero telegrammi per lui. Ci siamo ritrovati all’albergo. Mina sta meglio. Dorme molto. Tuttavia sembra inquieta quando il sole si alza o tramonta e Van Helsing ha preso l’abitudine di ipnotizzarla in quei momenti. Ella s’addormenta subito. Egli le chiede sempre ciò che vede ed ode. Risponde invariabilmente:

— Odo il rumore delle onde e dell’elica; il vento soffia nelle sartie.