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vò Susanna. E rivolta a Noris domandò: — Vogliamo andare?

— Andiamo.

La contessa Strazzo non ebbe la soddisfazione di accaparrarsi subito Noris. Proprio nell’istante in cui Susanna e l’aviatore si dirigevano verso di lei, un suono di gong avvertì che la cena era pronta.

Noris si trovò ad essere naturalmente il compagno di Susanna nel breve tragitto verso la sala da pranzo e il suo compagno di prospetto a tavola.

Si parlarono ancora: Noris senza trovare più l’espressione semplice e serena che poco prima aveva trasfigurato, sotto gli occhi di Susanna, il volto di lui; la fanciulla, senza riuscire più a superare il senso d’ostilità che la piccola delusione subìta aveva fatto risorgere in lei e che rendeva amara ogni sua espressione.

Più volte, durante il rimanente della serata, Max Kindler osservò la sua fidanzata con un accoramento segreto chiedendosi che cosa turbasse quel piccolo cuore che egli indovinava ferito anche sotto la vivacità fittizia che Susanna ostentava e che la febbre dei suoi nervi l’aiutava a mentire.

La reazione venne dopo. Quando, finita la festa, partiti gli invitati, ritiratosi anche Max, ella potè finalmente rifugiarsi nella sua cameretta e abbandonarsi al disordine che teneva tutto il suo spirito e dove ella non distingueva più se e qual cosa in lei dolorasse.

Il sonno venne assai tardi a suggellare i suoi occhi pieni di lagrime.