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panno, intorno alla sua macchina che andavano smontando e rivedendo pezzo per pezzo. Non era silenziosa l’ora meridiana calda e greve: eppure, Minerva aveva l’impressione di trovarsi sola in un deserto.

Lentamente ella attraversò il vasto campo gustando quella solitudine quasi con voluttà, riempiendola tutta col fantasma del lontano. Poi, la vinse il desiderio di non turbare quell’isolamento del suo cuore e del suo spirito, di prolungare la dolcezza melanconica della meditazione che la faceva vivere laggiù, oltre l’Oceano, che portava quassù, attraverso l’Oceano e lo spazio e la distanza enorme, l’immagine diletta; e senza più ripassare nè dall’officina nè dal capanno, rifece il cammino in senso inverso, varcò la soglia dell’aereodromo e fu sulla strada, diretta alla sua tranquilla casetta, in compagnia dei suoi ricordi, delle sue malinconie, dei suoi propositi.


*


Poveri propositi! Essi andavano impallidendo man mano si faceva più prossima la data della venuta di Noris.

Restava fissa la determinata partenza, ma sempre più incerta si faceva l’epoca. Intanto, non era possibile partire prima dell’arrivo di Ettore Noris. Che significato avrebbe avuto la sua smania di fuggire, di sottrarsi alla doverosa dimostrazione di giubilo che gli amici stavano organizzando per lui, di evitare volontariamente di vederlo? No, non era possibile partire prima che Noris fosse tornato.

Quand’ebbe fatta questa concessione alla irrequietezza dell’anima sua, Minerva si trovò più tranquilla e potè organizzare la sua giornata in modo da non lasciarla tutta aperta e soltanto al sogno e ai fantasmi.

L’indomani del giorno in cui ella era andata all’aereodromo, il suo monoplano era ripassato