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mente Ugo che dapprima l’aveva guardata con sospetto e adesso man mano andava riconciliandosi con lei, più brevemente Noris, con la correttezza fredda d’un maschio verso un altro maschio, s’informava del procedimento dei suoi lavori per la gran prova e subito s’apprestava per la lezione.

Talvolta, prima di abbandonare l’hangar, ella saliva a salutare Tripoletta per la quale teneva sempre in fondo alle tasche del suo mantello di pelliccia un cartoccio di dolciumi, ma che non era ancora riuscita ad addomesticare per quanta arte ella impiegasse per cattivarsela.

Tripoletta non osava più respingere i dolci che la bella signora portava dacchè Ettore Noris che un giorno aveva veduto lo sgarbo l’aveva rimproverata fino a farla piangere: nemmeno ardiva rinchiudersi più nella ostilità che pareva irrigidirla tutta. Adesso si lasciava accarezzare passiva da Minerva Fabbri, tendeva la sua manina bruna e nervosa per rispondere al saluto della bella signora, schiudeva anche le labbra fresche e tumide sui dentini bianchi minuti e fitti per sussurrare una frase gentile, ma negli occhi serbava immutato il rancore e il dolore, immutata la fiamma d’odio che pareva sprigionarsi non appena la Fabbri era scomparsa per seguirla e avvolgerla tutta.

Non poteva dire a nessuno, Tripoletta, il male atroce che le facevano, dentro, le visite della bella signora elegante e profumata che sorrideva a Noris, alla quale Noris sorrideva e che egli si portava via, poi, per il campo sulla sua macchina prodigiosa. Nessuno vedeva la figuretta bruna ritta dietro lo schermo delle griglie socchiuse seguire tutte le fasi della lezione e tremare come una canna sotto il vento ogni volta che gli occhi di Minerva Fabbri cercavano quelli di Ettore Noris e vi si affissavano. Nessuno sapeva che partita la Fabbri, Tripoletta prendeva il cartoccio dei suoi dolci e correva a nasconderlo dentro un armadietto dove già si ammucchiavano tutti quelli che lo avevano preceduto,