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aveva fatto appunto per essere libero di lavorare, nel silenzio e nel segreto, intorno alla nuova macchina che doveva permettere alla sua audacia di compiere nuovi prodigi.

E anche in quell’eremo venivano a cercarlo.

Il giovinetto scendeva malcontento le scale per avvertire Noris che lavorava nell’officina e chiedergli istruzioni, quando una scampanellata impaziente e prepotente venne a sollecitarlo, seguita subito da una voce imperiosa:

— Presto, ohè! qui si gela. Abbiamo delle signore con noi!

— Questa — si disse Ugo — è la voce di Lorenzo Rolla. E avrà con sè anche quell’antipatica di sua moglie, scommetto.

Prese a scendere ancor più comodamente per fare dispetto alla signora che gli era antipatica, poi, prima d’entrare da Noris, s’affacciò a una piccola spia tagliata nello steccato che gli permetteva ai vedere senza essere veduto.

— Vediamola quella smorfiosa! — si disse.

Guardò: susurrò subito meravigliato:

— Eh, quanta gente! E non c’è la signora Rolla, non c’è. Capisco: la brigata fa sciopero.

D’un balzo stavolta fu nell’officina installata accanto all’hangar e dove Noris, in camiciotto da operaio, stava lavorando in compagnia di due meccanici.

— C’è gente, — annunziò.

— Ho sentito, — fece Noris senza interrompere il lavoro. — Chi è?

— Chi sono, vuol dire. C’è Rolla con tutta la compagnia.

— E cioè?

— Paolo Adelio, Folco Ardenza, Cino Coralli.

— Fai passare qui allora, — Ci sono anche delle signore.

— Ah! la moglie di Rolla?

— No. Delle donnine che non conosciamo.

Il plurale fece sorridere Noris.

— Allora — egli disse — fai passare di sopra e di’ a Tripoletta che prepari il caffè.

— Tripoletta — fece Ugo con solennità — fug-