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presso Civate, e un’altra famiglia, pure di Milano, composta di sette o otto persone, tra grandi e piccini. Poco dopo arrivarono anche i Mainetti, due fratelli e una sorella, accompagnati da uno zio col quale vivevano, essendo orfani fin dall’infanzia. Questi Mainetti erano ricchi, allegri, chiassosi, e il minore, un giovinolo su i trentanni, faceva la corte all’Angelica fin dal primo giorno.

Questa gente si sparse un po’ da per tutto: in casa, nell’orto, sotto la cupoletta verde.

Più tardi capitarono pure i due vecchi cugini di Leonardo, i Valmeroni di Malgrate che abitavano in fondo al paese, e non mancavano neppure un giorno di fare la loro visita ai cari parenti.

Isidoro e Antonietta si trovarono finalmente soli per un breve istante.

— Bisogna che tu m’accordi un convegno — supplicava il giovine: — bisogna. Non vorrai lasciarmi partire così, senza essere stato un poco con te!.. Saresti troppo crudele!

Antonietta taceva; la testa bassa, gli occhi semichiusi, pareva in lotta con se stessa.

Il giovane insisteva.

Con un gesto risoluto, ella alzò la fronte e i suoi occhi brillarono di una luce strana. Un rossore intenso le accendeva le guance. Guardò il capitano con una indicibile espressione di tenerezza.

— Dove dobbiamo trovarci?