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che sta tanto male ai biondi. Due baffetti di canape lasciavano scoperta una gran bocca, il cui solo vantaggio consisteva in due file di denti sani e bianchi, ma un po’ grossi. Un mento forte, squadrato ed un naso da imperatore romano completavano quel viso pieno di carattere e di vigore, ma non certo tale da cattivarsi le simpatie delle giovinette. Pure in certi momenti, quando parlava ed i suoi occhi scintillavano, poteva sembrare quasi bello. I poeti invidiavano la sua fronte luminosa, ispirata. Guardando quella fronte, e quegli occhi, veniva fatto spontaneamente di chiedersi per quale capriccio la natura avesse guastata un’opera così bene cominciata. Riflettendoci meglio e imparando a conoscere l’uomo, si capiva che egli aveva avuto dalla sorte un unico dono: un cervello possente, un cervello composto della materia più fina, più evoluta. Sviluppandosi, il cervello aveva innalzato così nobilmente la fronte; ed era il fuoco, dell’intelligenza che dava tanto splendore ai grandi occhi pensosi. Si poteva concludere che la sola potenza del cervello aveva salvato Paolo Venturi da una bruttezza ridicola o ripugnante. Dacchè aveva imparato a ragionare, e a valersi della volontà, egli combatteva con tutte le sue forze la funesta pinguedine che minacciava di soffocarlo. Da qui la sua grande passione per tutti gli esercizi dello sport.

Da qui pure l’austera sobrietà del suo modo