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nell’ingranaggio 265

aveva sentito dire di lei al caffè del teatro Manzoni: che era una ganza del banchiere Pianosi, che tempo addietro egli si era mezzo rovinato per lei, di soldi e di salute, e che nell’estate era stata vista a Aix-les-bains, con lui, sfoggiare un gran lusso, mentre la povera moglie rimaneva a casa a piangere con la sua bambina...

— Sta zitto! — disse il Rodio interrompendolo: — è là in quel camerino, ti può sentire!

— Ah, sì? mi dispiace. Del resto, io non dico che siano cose vere: chiacchiere da caffè sono, si sa: forse tutte false. Che cosa non hanno detto anche della povera Emilia! Quando una bella ragazza, o una bella donna si espone al pubblico bisogna che stiano preparate a tutte le maldicenze, però è inutile che facciano le modestine.

Fortunatamente, la Giannelli, la Delfinoni e la moglie del maestro concertatore con la sua piccola Casilde, facevano tanto chiasso, tutte aggruppate nel piccolissimo camerino di Gilda, che di tutto questo discorso, una sola parola potè giungere sino al suo orecchio: il nome del banchiere Pianosi.

Era sempre abbastanza per avvertirla che parlavano di lei e della sua relazione con Giovanni; abbastanza per rattristarla, facendola pensare alle acute maldicenze. Ma per quanto ella fosse preparata anche alla calunnia, sarebbe stata duramente sorpresa se avesse sentito fino a qual punto, in così breve volger di tempo, il pettegolezzo avesse svisato gli avvenimenti e contraffatta la verità.

Improvvisamente, le tre donne, stanche di ridere e di ciarlare, furono prese da una gran furia di