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dissimularla, neppure agli occhi di Annetta, neppure agli occhi del genero — un tipo sbiadito di uomo alla moda.
Del resto, Leopoldo provava una invincibile ripugnanza anche per i due sposi. Annetta gli pareva una cortigiana, profondamente corrotta; il barone, un imbecille. Subito il primo giorno, egli si alzò da tavola a mezzo il pranzo, e pregò Emma di accompagnarlo nella camera che gli avevano assegnata, e non volle più uscirne.
Queste dimostrazioni troppo sincere furono messe naturalmente sul conto della sua pazzia.
— Povero babbo — diceva Annetta — non è guarito: i medici si sono illusi.
E andava a vestirsi per la passeggiata, scuotendo la bionda testa, con una malinconia così lieve, così lieve, che presto non ne rimaneva più alcuna traccia.
Quanto a Cleofe, il nipotino l’assorbiva completamente. Leopoldo era sempre stato pazzo, secondo lei, e non valeva la pena di occuparsene.
Ringraziava il cielo di esserne liberata: non avrebbe più avuta la flemma di fingere, con quel noioso. Voleva vivere a modo suo, godersi il suo bell’autunno, senza scandali, nel vortice della capitale, con la poesia di quel nipotino che la posava così bene agli occhi del mondo.
Emma si affrettò a ricondurre il suo povero caro nel silenzio di Melegnano.