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come dicevano con frase consacrata le gazzettiere del paese; ma la figliuola dei signori Mandelli era la più vicina a perderci la ragione, se non la vita.
Paolo Brussieri giustificava esteriormente il fascino da lui esercitato. Era uno di quei giovani dall’aspetto fiorente, dal viso scultorio; dagli occhi larghi e luminosi, sempre uguali nella loro falsa espressione di languore e di tenerezza. Tali occhi, alla lunga monotoni e quasi insignificanti, possono incendiare con una sola occhiata un cuore di fanciulla, assetato d’amore e non educato a una intelligente difesa.
Una bella zazzera, castagno-scuro, pettinata con molta cura; un paio di baffetti provocanti, a riflessi dorati, e una cert’aria di eleganza cittadina e di latente jattanza, completavano le seduzioni del bel cancelliere.
Nato e cresciuto a Milano, figlio di un negoziantuccio di guanti e cravatte, arricchitosi soldo a soldo, Paolo si sentiva naturalmente spostato nel grosso borgo; e guardava i suoi simili con orgoglio altezzoso e aristocratica degnazione.
Un guantaio di Milano valeva, secondo lui, molti signori di provincia, e un cancelliere di Pretura era un personaggio.
In realtà, il suo spirito e i suoi modi lo avvicinavano ai pochi signori — ricchi proprietari o industriali — che abitavano nel paese, tutto l’anno, o soltanto nella bella stagione.