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ancora, non per amore di sè, ma dell’opera, ha uno splendore che somiglia a quello.

Ma la cittá sulla quale il sole gettava i suoi ultimi raggi purpurei, che una natura benigna cingeva di vigneti carichi di grappoli, di verdi colline, e di boschi odorosi, era cupa e squallida.

E lui s’immedesimava in quello squallore, e sentiva tutta l’acre ironia di quello sfarzo di colori. Di tratto in tratto i suoi occhi s’inumidivano. Ma pensava che non era il solo a piangere sovra quei lembo di terra. Mille e mille piangevano. Migliaia di finestre erano chiuse in quella maniera assoluta e desolata che indica l’assenza d’ogni abitante; innumerevoli case abbandonate affatto. Il silenzio regnava per le vie deserte; ben pochi osavano interrompere il suo triste impero. Le botteghe si chiudevano già a quell’ora, e i loro proprietari si fermavano un momento coi loro vicini, in mezzo alla strada, comunicandosi a bassa voce le dolorose vicende della giornata, e le gravi apprensioni che a ognuno ispirava la notte. Nel separarsi si salutavano con piú affetto del solito, e, giunti alla prima svoltata, volgevano uno sguardo a quell’angolo oscuro, testimone delle loro fatiche e dei loro guadagni che forse non dovevano rivedere mai piú. Del resto, il