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distinzione terza. - cap. iv. 53

CAPITOLO QUARTO.


Dove si dimostra come la disperazione ritrae altrui dalla penitenzia.


Il quarto impedimento che ritiene altrui dalla penitenzia, è la disperazione: e questa è in due modi. L’uno è quando l’uomo si dispera della misericordia di Dio; l’altro è ch’altri si dispera di sé medesimo, non credendo potere perseverare nell’opere della penitenzia. E ciascuna di queste disperazioni ritraggono dal fare penitenzia; e però di ciascuna si vuole qui dire. La prima disperazione è quando l’uomo si dispera della misericordia di Dio; e suole intervenire quando altri si sente avere fatti molti e gran peccati, ed essere più volte ricaduto; onde non ispera che Dio debba avere misericordia di lui e perdonargli, considerando la gravezza de’ suoi peccati. In questo modo si disperò Caino; il quale avendo morto il suo fratello Abello per invidia, considerando la gravezza del suo peccato, disse: Major est iniquitas mea, quam ut veniam merear: Egli è maggiore la iniquità del mio peccato, che non è ch’io possa meritare perdonanza. Non ebbe rispetto alla misericordia di Dio, che infinitamente è maggiore che ’l suo peccato, che ’l poeta perdonare e fare a lui meritare perdono. Similmente Giuda traditore considerò la gravezza del suo peccato, dicendo: Peccavi tradens sanguinem justum. E non aumiliandosi a dimandare1 misericordia e perdonanza, andò e impiccossi per la gola disperato:2 del quale dice santo Agostino, che più peccò disperandosi dela misericordia di Dio, la quale s’egli avesse con buon quore addimandata, avrebbe certamente ricevuta; che non

  1. L'edizione del 1725, non iscarsa di durezze siffatte: ad addomandare.
  2. La stampa del primo secolo: andò et disperossi et impiccossi per la gola.