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   36 libro primo

vano come a vitto soavissimo. Ma i Reggini erano in tali sovrumani travagli che ogni ulteriore resistenza non era cosa da uomini. E potendo più del valore il digiuno, la città si lasciò ire alla discrezion del tiranno. (Olimp. 98, 2. av. Cr. 387.) E quando egli vi entrò pieno di matta gioja, non viventi si offersero alla sua vista, ma cadaveri ammonticchiati; e così debil filo di vitalità teneva i superstiti che non ad esseri umani si assomigliavano, ma a fantasime. Non vide che muraglie sfracellate, che case incenerite, che deserte ed insanguinate vie; non fiutò che il grave puzzo de’ cadaveri imputriditi ed insepolti; non sentì che i cupi e rantolosi gemiti di chi finiva di fame; nè tutta questa orribile scena ebbe potere di render pietoso il tiranno! Anzi compì la fiera opera, mettendo a ruba tutto il paese, e facendo suoi i preziosi arredi de’ tempii; a cui ne’ loro mortali dolori non avevano osato di metter mano gl’infelici Reggini. In una città ch’era in quel tempo sì popolosa non raccolse Dionisio che un settemila di quegli scheletri, i quali furono da lui avviati in Siracusa, con questo: che ciascun di loro potesse esser ricomperato a prezzo di una mina, e fossero posti a pubblico mercato quanti non potrebbero aver modo di riscatto.

Tra gl’ illustri prigionieri era Pitone, capitano dell’esercito reggino, ed un suo figliuolo. Per quest’ultimo ordinò Dionisio che fosse mazzerato; ordinò poi che Pitone fosse legato e sospeso ad un altissimo ordigno da guerra; e gli fece allora annunziare come il dì innanzi d’ordine suo gli era stato annegato il figliuolo. Al che Pitone rispose con dignitosa serenità: aver quel suo figliuolo ottenuto il premio de’ prodi un giorno prima di lui. Fecelo appresso prendere a’ suoi sgherri, e menar per le vie della città; e mentre che costoro lo flagellavano e svillaneggiavano con ogni fatta di ludibrii, ed il martirizzavano ferocemente, un banditore il precedeva gridando, doversi a Pitone così strano supplizio, per aver eccitata la città sua alla guerra. Questi strazii sosteneva il valoroso reggino con esemplare ed invitta costanza; ed esclamava in quegli estremi momenti, che gli si dava la morte per non aver voluto mancare al suo debito di ajutar la patria dal tiranno: a cui la Divinità però farebbe in breve portare la pena meritata per tanta scelleratezza. La sublime virtù di questo Eroe ormai prendeva di pietà i soldati stessi di Dionisio, ed una parte di loro era per sommuoversi, quando il tiranno, temendo non osassero strapparglielo di mano, ordinò l’uccidessero, ed a tutta la famiglia di lui fosse levata la vita.

Ma quanto in mezzo a’ tormenti fu benedetto il nome di Pitone che passava di questa vita, tanto fu maledetto quello di un esoso