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   20 libro primo

Messena da terra; la reggina ed ateniese armata la batteva per mare. I Messenii, operando una sortita improvvisa con parte del presidio locrese condotto da Demotele, colsero alla sprovveduta gli assedianti; dei quali gran parte andò in rotta ed in fuga, e moltissimi rimasero uccisi o presi. In questo dibattilo gli Ateniesi e Reggini, che stavano sulle navi, veduto il disastro de’ loro alleati, sbarcarono sollecitamente per ajutarli, e gittaronsi furiosi sopra i Messeni, a cui diedero la caccia sino alle porte della città. E dopo aver alzato un trofeo, ritornarono a Reggio.

V. Ma oggimai a’ Sicilioti era evidente che dal tormentarsi a vicenda loro non conseguitava altro che ruina e conquasso negli averi e nelle persone; (Olimp. 89, 1. av. Cr. 424.) mentre gl’invasori ateniesi andavansi preparando materia al dominio desiderato. Le prime città, che facessero senno, e praticassero di pacificarsi, furono Camarina e Gela, concludendo tra loro una tregua: e gli altri Sicilioti, imitandole, convocarono poi in Gela un Concilio nazionale, ove si ristrinsero commissarii di tutte le loro città, e di quelle della Magna Grecia, per trovar modo a concordia ed a conchiusione di pace. Nè lo scopo del congresso fallì; poichè il siracusano Ermocrate provò con sapiente eloquenza come gli Ateniesi, sotto colore di sovvenire i Leontini, ad altro non intendessero che a tener vive le guerre intestine, e nemiche e divise le città di Sicilia, per poterle signoreggiare una appresso dell’altra. Soggiunse come a comune salvezza fosse unico rimedio la pace: ed a conseguir questa, unico rimedio obbligar lo straniero ateniese a dileggiar di Sicilia. E la pace fu conchiusa; alla quale assentirono tutte le città siciliote ed italiote. Solo i Locresi negaronsi, non perchè la riprovassero, ma perchè, in odio a’ Reggini, avevano ritrosia di firmare un patto, a cui questi erano intervenuti. Dopo di che fu denunziato agli Ateniesi il trattato di Gela, e costoro invitati a riconoscerlo senza contrasto. E gli Ateniesi, non potendone altro, e vedendosi privi de’ loro alleati, fecero virtù della necessità, e quetamente si partirono. Ma tornati alla loro patria, Pitodoro e Sofocle furono da essa banditi, ed Eurimedonte punito in un’ammenda; perchè andò fama che avessero fatto l’abbandono della Sicilia, non per necessità, ma per viltà o per prezzo.

VI. Queste profonde piaghe delle guerre interne, che tanto detrimento avevano recato alle private e pubbliche fortune, erano sul rimarginarsi, quando una nuova tempesta suscitarono gli Ateniesi a subisso della Sicilia. Costoro non potevano darsi pace dell’aver dovuto partirsene, quando quest’isola pareva già caduta in poter