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capo secondo 219   

datura in tutto il territorio del loro distretto da Capo Bruzzano a Bagnara. Giovanna per la partenza d’Alfonso riprese fiato; e Lodovico III venne ad Aversa in soccorso della regina, la quale indi a non molto ricuperò Napoli (1424). Lodovico fu fatto partecipe della sovranità, e prese il titolo di re. Molte città del regno però si tennero ferme alla fede di Alfonso; e fra queste fu Reggio. Ma questa sventurata città, nella quale quanto crescevano le sciagure tanto sminuiva la popolazione, era ridotta quasi deserta. Circondata dalle armi angioine, che avevano condotto all’ultimo esizio il suo territorio, non pareva più dessa. Le molte migliaja de’ suoi fuochi, che si erano ristretti a mille trecento verso il 1421, dopo cinque anni, cosa lagrimevole a dirsi, eransi attenuati a meno di duecento! E contuttociò i cittadini, per serbar fede ad Alfonso che continuava a stare nella lontana Spagna, sofferivano con maravigliosa pazienza e longanimità le percosse delle armi di Lodovico, che voleva ad ogni costo dominarli.

In mezzo a tanti profondi mali ed irreparabili, i Reggini trovarono conforto (1426) nel capitanio Giovanni de Ultrera, uomo di grandi virtù, il quale rintuzzando con esimio coraggio la baldanza nemica, non lasciava di sollevare colle sue opere e colla dolcezza della sua amministrazione l’afflitto popolo reggino, ed era benedetto da tutti. E quando i sindaci della città Marco de Salerno e Galgano Filocamo si recarono in Valenza per rappresentare ad Alfonso lo stato infelicissimo della patria loro, questo re si commosse al racconto de’ loro dolori, patiti in gran parte per la loro divozione verso di lui. E a farli contenti ordinò che l’Ultrera, giusta il loro desiderio, rimanesse capitanio di Reggio per tutta la sua vita. Abolì il diritto della scannatura e del sigillo, concesse la nuova fiera di S. Marco da durare dal 25 aprile al 10 maggio, e confermando quella di agosto, dispose che invece di quindici durasse giorni diciassette.

VII. Reggio pertanto, battuta nell’agosto del 1427 dalle armi angioine comandate da Ulpiano Caracciolo e da Battista Capece, cadeva finalmente; ma tutti gli Aragonesi, ed i cittadini loro aderenti si chiudevano e resistevano nel castello, animati e tenuti fermi dall’egregio capitanio Giovanni de Ultrera. Altri cittadini fuggirono in Sicilia, altri furono imprigionati, altri morti nella sanguinosa mischia, durante l’assalto e l’espugnazione della città. Altri finalmente rimasero in città sotto la fede loro data dal Caracciolo e dal Capece che non sarebbero in nulla nulla molestati, purchè riconoscessero Lodovico d’Angiò, e dessero loro mano all’oppugnazione del castello. E Lodovico ordinò che sinchè questo non fosse conquistato,