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   212 libro quinto

gravezza feudale il possesso e godimento de’ propri beni, in qualunque punto della monarchia fossero siti. Ora i Reggini richiamavansi a’ nuovi Sovrani che da poco in qua i convicini Baroni andassero depredando i beni dei cittadini, e di chiunque abitava in essa citta, sotto pretesto che quanti si erano assentati dalle loro castella, mentre queste erano demaniali, non vollero più ritornarvi dopo che, vendute dal governo, divennero dominii feudali. Il conte di Sinopoli specialmente non solo aveva messo in preda i poderi di quelli tra i suoi vassalli che avevano mutato in Reggio il loro domicilio, ma ancora quelli del reggino Giacomo di Lorenzo, che già da venti anni innanzi aveva fatta continua dimora in quella città, nè era stato mai vassallo del conte di Sinopoli. Il re e la regina sulle rimostranze dell’università di Reggio provvidero che il Giustiziario di Calabria, chiamate a se le parti contendenti, s’ingegnasse di conciliare ogni cosa senza strepito e con imparzial giustizia, in maniera che Reggio fosse rintegrata ne’ suoi diritti d’immunità.

Ma la concordia tra i regii sposi non durò molto a lungo. Giacomo già mostrava chiaro esser sua mente di togliere alla regina qualunque potere; e dall’altra parte i Napolitani vedevano che tutti i pubblici uffizii eransi distribuiti a’ Francesi, che il Borbone aveva condotti seco da oltre Alpi, e che apertamente favoriva (1416). Senzachè, l’indole di lui era brusca, assoluta, maligna. Giacomo e Giovanna ruppero in aperte dissidenze, le quali dieder luogo a persecuzioni, a prigionie, a scandali e tafferugli cortigianeschi; a cui davano fomento e vita in varii sensi or Pandolfello Alupo, or Sergianni Caracciolo, ora Sforza Attendolo, che volgevano l’animo della regina a tutte le lor voglie e gelosie. A noi non appartiene avvilupparci nella storia di quelle brighe cortigianesche, ma solo diciamo che se Giacomo aveva dapprima tolto ogni potere a Giovanna, costei poi, ajutata da’ Napolitani che mal digerivano i Francesi, il costrinse a restituirle la sovrana autorità, ed a chiudersi nel Castello dell’Uovo. Egli vi rimase prigione sino al 1417; nel qual anno fuggì dal carcere, e cercò di rifar testa contro la regina; ma andatogli in fumo il disegno, si ritirò da ultimo in Francia, dove poi si rese frate francescano, e tal morì nel 1438.

II. Dopo la fuga di Giacomo furono espulsi tutti i Francesi che dimoravano nel reame, ma taluni tra costoro che tenevano pubblici uffizii, ripugnavano tuttavia, quali più quali meno, agli ordini della regina. Così il francese Egidio de Grigny, ch’era capitanio e castellano di Reggio, dopo la partenza del Borbone, tenne per sè il castello, nè volle mai cederlo agli uffiziali della regina. Nè il cedette