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capo terzo 181   

davano le acque. Così Squillace fu necessitata alla resa. Poscia assaltava con tutto lo sforzo Catanzaro, ch’era già stata ricuperata da Pietro Ruffo, ed ora da questi difesa. Il quale però vedendosi tratto alle ultime angustie, pattuì una tregua di quaranta giorni, dopo i quali, se non avesse mezzo alla resistenza, si obbligava di consegnar la città, e tutta la Terra Giordana, fuor solamente Santa Severina, che non dipendeva da lui, ma dall’Arcivescovo Lucifero, che non voleva sentirne.

In questo mezzo Federico andava a campo a Cotrone, e commetteva al Lauria che menasse ajuti e provvigioni a Rocca Imperiale, la quale era duramente battuta dal Monforte, che stava per Carlo II. Durante la tregua di Catanzaro, Federigo sommise a se tutto il paese sino a Rossano; ed al termine di quella il Ruffo cedette Catanzaro, ed il resto della Terra Giordana giusta il trattato. E l’Arcivescovo Lucifero, non potendone altro, risegnò alla fine Santa Severina. Dopo di che Federigo ritornò in Sicilia, costituendo in Calabria per suo general Vicario Blasco di Alagona, il quale pose in Reggio la sua ordinaria residenza.

A questi tempi la Sicilia, ed i paesi di Calabria signoreggiati da Federigo erano divenuti la stanza di tutti i Ghibellini e Paterini d’Italia, che non trovavano in altri Stati ricovero sicuro. Oltre di questo la vita religiosa nelle dette contrade era allora di varie credenze. Un gran numero di Saracini e di Ebrei avevano tuttavia dimora fra noi; per i quali tanta era la tolleranza che bisognarono leggi speciali, e spesso severissime, per vietar loro l’abuso abominevole degli schiavi e delle concubine cristiane. Abuso che gli stessi Cristiani non avevano avuto ritrosia di adottare, e di continuar per buona pezza ne’ tempi posteriori. Tutti questi infedeli però dovevano portare, per discernersi da’ cristiani, una nappa rossa sull’abito allo sparato del petto. Agli Ebrei poi era particolarmente inibito l’esercitare alcun pubblico uffizio, e la medicina.

VIII. Giacomo nondimeno, prima di buttarsi alla guerra contro il fratello, volle tentare un’ultima volta i mezzi di un onorevole temperamento. E propose a Federigo che entrambi convenissero a conferenza nell’isola di Procida o d’Ischia, ove si sarebbe preso alcun buon ordine alle cose loro. Ruggiero Lauria era di parere che Federigo vi andasse; ma i Baroni di Sicilia, co’ quali volle consigliarsi, il distoglievano, e giunsero a tassare il Lauria di connivenza con Carlo. Della qual cosa prese tanto sdegno l’Ammiraglio, e parlò con tal risentimento in faccia del Re, che fu sostenuto in palazzo. Ma poi, per intercessione di Manfredi Chiaromonte e di Vinciguerra