Pagina:Spanò Bolani - Storia di Reggio Calabria, Vol. I, Fibreno, 1857.djvu/203

   178 libro quarto

cotera. Era quivi il Conte di Catanzaro Pietro Ruffo con duemila fanti e cinquecento cavalli francesi. Il quale credendosi a bastanza francheggiato dalla prossimità della flotta angioina, stava troppo alla sicura, nè gli capiva in testa la possibilità di un assalto nemico. Onde il Lauria, senza che persona vi badasse, sbarcò chiotto chiotto, e data la scalata alla terra la ottenne agevolmente. E correndo le vie a suon di trombetta, cominciò a menar tempesta per tutto, dando ogni cosa a roba e ad incendio, e tagliando quanti incontrava, francesi o paesani che fossero. Il conte Ruffo a stento ebbe tempo di serrarsi nella fortezza, dove tuttavia non sapeva capacitarsi da che diavol fosse proceduta tutta questa maledizione di cose. Ma dopo tanta baruffa, il Lauria credette prudente consiglio rimbarcarsi co’ suoi, affinchè non fosse messo in male acque o dalla flotta nemica che poteva accorgersene, o da’ terrazzani, che tratti alle grida tumultuarie e rivenuti del subito spavento, cominciavano ad ingrossarsi di gran modo. Fra gli altri prigionieri fatti in Nicotera si vedeva quel Pietro Pelliccione, che i Reggini all’entrata degli Aragonesi avevano detenuto nel loro castello. Costui, venutogli poi fatto di fuggir dai carcere di Reggio, si era nicchiato in Nicotera, che Pietro Ruffo teneva per l’Angioino. Questo Pelliccione da persona che il conosceva fu rinsegnato al Lauria, il quale per far cosa accetta a’ Reggini, lo rimandò preso in Reggio, ed il pose nell’arbitrio di sette di que’ cittadini ch’erano stati da lui più maltrattati, perchè ne facessero quella vendetta che meglio volevano. E quelli se ne pagarono col tagliargli la gola.

V. All’entrar del nuovo anno (1285) si ebbe lingua che re Carlo era morto in Foggia; e tosto il Lauria, preso maggior animo dalla morte del nemico, proseguì le sue imprese in Calabria, e costeggiandone il litorale, occupò con egual fortuna Castelvetere, Castrovillari, Cotrone, Catanzaro, ed altre ventidue terre incastellate di quella regione ridusse in picciol tempo alla devozione dell’Aragonese (1286): e ricuperò insieme le avite castella, di cui l’aveva privato Carlo d’Angiò. Giacomo che si continuava in Messina, dava mente ed opera a rifermar l’ordine delle cose, che la passata guerra aveva sconvolte. E presi in considerazione i molti danni arrecati alla città di Reggio e suo tenimento, ed alle sue industrie e commerci dalla diuturna vessazione degli Angioini, ordinò con sua Lettera Patente (1285) che in futuro non fosse più imposta a’ Reggini la gravezza fiscale della marinaria, e che le regie collette, che avevano tuttavia a riscuotersi per il passato anno, restassero condonate. E provvide altresì che i medesimi cittadini non potessero esser costretti