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   176 libro quarto

San Noceto, Mesa, ed oltre Mesa, fossero immuni di qualunque fiscale imposizione. Tutti i dazii, gravati da re Carlo, annullò; e li ridusse giusta il pubblico voto a quelli che i Siciliani pagavano sotto Guglielmo II.

Il Principe di Salerno, che col suo esercito continuava a stare sul piano di San Martino, per gratificarsi i suoi sudditi, e legarli con un vincolo morale, convocò ivi stesso un Parlamento di Prelati, Baroni e Deputati di tutte le città di terraferma, ove furono proposte, discusse ed approvate le nuove Costituzioni della monarchia. Queste erano una specie di Magna Carta, e sminuivano più che assai le regie prerogative; ma contuttociò il Principe Carlo, facendo virtù della necessità, dava sembianti di concederle di buona voglia. E ciò tanto ammorbidì la pubblica irritazione contro la Casa d’Angiò che la rivoluzione a favor di Pietro non si allargò mai di là dai termini della Calabria.

III. Mentre per tal modo le cose si travagliavano, il Prefetto di Napoli Giovanni Cornerio con diciannove galee andava di lungo per Malta, a far nuove opere di difesa in quella rocca, già per se stessa fortissima. Ruggiero Lauria che stava colla sua armata in Messina, gli tenne la posta con molte navi, e caricandolo poi nelle acque di Malta, lo sfidò a giornata: e vintolo, gli predò dieci legni, e ritornandosi verso lo Stretto, imboccò nella rada di Reggio. Saputo ivi che il Principe di Salerno, non più stimandosi sicuro in Calabria, era testè entrato in mare, e navigava per la volta di Napoli, raccolse senza far sosta un’armata di quarantacinque galee, e spintala a tutte vele, raggiunse il Principe a vista di Napoli, e lo strinse a prender battaglia. Impegnata la zuffa, il Lauria fece finta di tirarsi indietro come vinto da subito timore, e trasse Carlo a seguirlo incautamente nel largo. Allora Ruggiero, serrandoglisi addosso in un attimo, gli prese le navi, e lui stesso ed i suoi fece prigionieri. Fiero di questo prezioso pegno ritornò in Messina, e dispose che lo sventurato Principe fosse chiuso in Mattagrifone, e gli altri in altre castella. Questo grave avvenimento, che si maturava mentre Carlo I era in Francia e Pietro in Aragona, fu novella tanto al primo dolorosa, quanto lieta al secondo.


Re Carlo, divorandosi di rabbia a sentir nelle unghie del nemico il suo figliuolo, si precipitò di Francia in Italia (1284): e fu in Napoli. Aveva cruccio così intenso che più non vedeva nè se stesso, nè l’ora di vendicar l’alta ingiuria, e di risollevar la sua fortuna. Allestiti, detto fatto, un’armata di quarantotto galee e duecento altri legni di varia grandezza, ed un esercito di quarantamila fanti