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capo sesto 155   

Berengaria vollero essergli compagne nelle venture della spedizione.

III. Moriva Tancredi nel mille cento novantadue, e gli succedeva il secondogenito Guglielmo III. Ma le cose del Reame, che già eransi perturbate assai gravemente, venivano dopo la morte di Tancredi in condizioni tristissime. Le provincie di qua dal Faro furono aperte allo Svevo; al quale, calato nuovamente in Italia con fresco e poderoso esercito, si acconciavano quietamente i Baroni del regno; ed Arrigo VI senza ferir colpo diveniva fortunato signore delle nostre contrade. E passato in Calabria (1193), occupava Reggio senza trovar riscontro nemico; e precipitando ogn’indugio si tragittava in Sicilia. Messina sopraffatta dalle armi sveve, e dalle genovesi e pisane armate, aprì le porte ad Arrigo; Catania si arrese per patti, Siracusa per forza. Dentro il novembre del mille cento novantaquattro Arrigo entrava in Palermo, donde testè erano uscite, per andare a a chiudersi in Calatabellotta, la regina Sibilla, madre del re, le figliuole, e tutti i suoi famigliari. E vedendo Sibilla, che il mutato animo dei Siciliani le faceva impossibile e vana qualunque resistenza, rinuziò ad Arrigo VI le ragioni del Reame. E questi le diede sicurtà di concedere a lei il dominio della Contea di Lecce, e quello del Principato di Taranto a Guglielmo III.

Per argomento della sua benevolenza verso l’Arcivescovo di Reggio, l’imperatore gli fece concessione della città di Bova e della terra d’Africo col titolo di Conte, e della terra di Castellace sul piano di Terranova con quello di Barone (1195). Ma però Arrigo ad ogni altra cosa pensava che ad attener le sue promesse a Sibilla; e non ritornò appena dall’Alemagna (dove si era recato per assicurare l’Impero al suo figliuolo Federigo, natogli da Costanza) che ruppe ogni patto. Un torrente di Tedeschi si riversò dalle Alpi in Italia; ed avvegnachè ì Siciliani avessero procacciato di non dar cagione che l’imperatore si mettesse in mal animo, costui nondimeno, sotto pretesto che la decaduta dinastia gli congiurasse contro, fece porre in carcere, e cavar gli occhi al misero Guglielmo; in carcere la regina Sibilla, e le sue figliuole; in carcere quanti nobili o popolani temeva tuttavia proclivi a’ Normanni. E facendo ritorno in Germania, seco menava cencinquanta cavalli, carichi delle spoglie di maggior prezzo, che fatte avea nelle conquistate provincie.

Ad Arrigo dava l’investitura del reame papa Celestino III (1196). Così dopo sessantaquattro anni dalla incoronazione di Ruggiero aveva termine in Italia il dominio de’ Normanni.

FINE DEL LIBRO TERZO.