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   76 libro secondo

in catene. Ivi perì meritamenle o di fastidio o di veleno nel carcere prima di esser giudicato dal popolo romano.

III. Ma gli avvenimenti precipitavano. Annibale, battuto appieno dal console Publio Sempronio, si cansava tra mesto e scorato verso Crotone. Ed intanto dall’Affrica continui messaggi il pressavano di accorrere a liberar la patria dalle orribili strette che le davano le legioni romane, accese a gloriose prove da Cornelio Scipione. Contuttociò Annibale di mala voglia si risolveva a cavarsi d’Italia; di quell’Italia ch’era stata testimone e campo delle sue glorie, ed ora delle sue sventure si rallegrava a baldanza. Prima della sua dipartita, (An. di R. 551. av. Cr. 203) Annibale collocò in quelle poche città de’ Bruttii (che come nella lieta, così gli erano rimaste amiche nella fortuna avversa) que’ suoi soldati ch’erano impotenti al militar servigio. E trucidò con matta ferocia nel tempio stesso di Giunone Lacinia, sino allora asilo inviolato degli sventurati, un gran numero di soldati italiani, che ritrosi a seguirlo nell’Affrica, vi si erano ricoverati. Così lasciava Annibale l’Italia, seco portando i residui del suo esercito; e le sue gesta che alla sua discesa delle Alpi avevano avuto al Ticino così glorioso principio, erano ora suggellate alla sua uscita con una atrocissima e sacrilega carneficina.

Dicesi che Annibale nella spianata di quel tempio avesse già fatto erigere una marmorea colonna, e scolpirvi la narrazione delle sue imprese in Italia. Avrebbe dovuto anche raccontare a’ posteri questa ultima impresa.

Faceva due anni dalla partenza di Annibale, (An. di R. 553. av. Cr. 201) allorchè Scipione vittorioso ritornava dall’Affrica a Lilibeo; donde avviato per Roma il più dell’armata, pigliò terra in Reggio, e, preso il cammino a traverso dell’Italia tra due file interminate di popolo, che si accalcava commosso a salutare il fortunato vincitore di Cartagine, entrava ovante in Roma.

IV. Tra le vicende della seconda guerra punica, combattuta per diciassette anni in Sicilia e in Italia, tutte queste contrade affogarono in tante calamità ed infortunii che la parola non può valere a narrarli. Ove già sorgeva potente, florida, e popolosa la Magna Grecia; ov’erano opulente città, scuole di antica sapienza, capolavori di arte greca, gara di nobilissimi studii e di utili traffichi, gentilezza di costumi, desterità di liberi e sottili ingegni; ov’erano feconde e deliziose campagne, lussuria di messi e di vigneti, abbondanza di ogni cosa attrattiva al vivere agiato e civile; ivi più non vedevi che la rigogliosa ortica tra un mucchio di poveri e spalcati casolari; non vedevi che terre deserte ed incolte, che popoli scaduti e sventura-