Pagina:Sonetti romaneschi VI.djvu/20

10 Sonetti del 1830

esitare.      7 Darlene (di colpi).      8 Affliggermi.      9 [Mondezzaio.]      10 Un procoio, una infinità.


A COMPAR DIMENICO.

     Me so’ ffatto, compare, una regazza
Bianca e roscia, chiapputa e bbadialona,1
Co’ ’na faccia de matta bbuggiarona,
E ddu’ brocche,2, pe’ ddio, che cce se sguazza.

     Si la vedessi cuanno bballa in piazza,
Cuanno canta in farzetto, e cquanno sona,
Diressi: “Ma de che? mmanco Didona,
Che squajjava le perle in de la tazza.„3

     Si ttu cce vòi vienì dda bbon fratello,
Te sce porto cór fedigo4 e ’r pormone;
Ma abbadamo a l’affare de l’u.......

     Perché, si ccaso5 sce vòi fà er bruttone,6
Do dde guanto7 a ddu’ fronne8 de cortello
E tte manno a Ppalazzo pe’ cappone9.

14 febbraio 1830.

  1. Badiale, cioè “squisita, impareggiabile.„
  2. Poppe.
  3. [S’intende che il popolano che parla in questo sonetto, per una delle solite false reminiscenze, confonde Didone con Cleopatra.]
  4. Fegato.
  5. Se per caso.
  6. Il brusco, il pretendente.
  7. Afferro, do di mano.
  8. Due fronde, cioè: “un pocolin di coltello.„ [La metafora è presa dalla frase: du’ fronne d’inzalata. E bisogna anche avvertire che fronda, in romanesco, vale sempre: “foglia.„]
  9. A cantare da castrato alla Cappella pontificia.