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Sonetti del 1847 405

ER PAPA E LI FRATI

     Er zanto-padre è un bon fijjolo; ma
Li frati, a fforza de tiranne ggiù,
Ve lo fariano crede un Berzebbù
Da distrugge le cchiese e le scittà.1

     E ccór loro fagotto de vertù
Meno un tantin de fede e ccarità,
Si ssentissiv2o poi, li mappalà3
Che sti santi je manneno llassù!4

     E vve canteno tutti in amirè5
C’a llui j’amanca quarche ggiuveddì
E ffa da Papa nun ze sa pperchè.

     Romani, e ve voressivo avvilì?
No, dite com’io dico tra de mè:
“Tufa6 a le fraterie? Mejjo accusì.„

23 gennaio 1847

  1. [V.la nota 1 del sonetto: Er Papa novo, 21 ott. 46 — Il vescovo di Todi pubblicò “una pastorale in cui il novello pontefice era adombrato poco men che eretico. E dove la natura de’ tempi l’avesse consentito, e la stagione delle scisme non fosse stata impossibile a tornare, avremmo forse ascoltato dagli altari (come fu detto in tenebrose conventicole) che il vicario di Cristo era un sedizioso, e non legittima la sua elezione.„
    Ranalli, Op. e vol. cit., pag. 47.]
  2. [Se sentiste.]
  3. [Le imprecazioni, gli accidenti.]
  4. [Gli mandano lassù, cioè: “al Quirinale,„ perchè Pio IX, eletto lì, “non si voleva giammai recare alla reggia più vasta e più agiata del Vaticano.„ Gualterio, Op. e vol. cit., pag. 881.]
  5. [In lamirè, detto scherzevolmente invece di “in coro.„]
  6. [Rin- cresce, dà noia. Dal latino typhus, greco tipos, esalazione. Cfr. il lombardo tufo, esalazione fetida; il ladino toffar, puzzare; l’italiano stufo, stufare, ecc.]