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Sonetti del 1846 309

ER MARITO DE GGIUDIZZIO

     Ôh, er mi’ padrone poi, sora Scescijja,1
Verbo corna s’ammaschera da tonto.2
Lui se n’essce da cammera onto-onto,3
Serra l’occhi, e vva ttutto a mmaravijja.

     Nun è omo d’avello4 pe’ un affronto,
Si ssenza corpa sua cressce famijja.
Le cose tutto sta cchi sse ne pijja,
E ggnente dole mai si ttorna conto.

     Abbiti, argenterie, casa a ppalazzo,
Carrozze, servitù, ppranzi in campaggna...
Lui vede tutto e nnun dimanna un cazzo.

     La providenza viè? llui l’arisceve.
Er camminuccio fuma? e cquello maggna.
La funtanella bbutta? e cquello bbeve.

2 aprile 1846

  1. Cecilia.
  2. Fa lo gnorri.
  3. “Lemme-lemme„, come dicono i toscani.
  4. Averlo.