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Sonetti del 1831 223

LA GGIOSTRA A GGORÈA.1

     Jeri sì cche ffu ggiostra! Che bbisbijjo!
Figùrete che Mmèo2 de Bborgonovo,
A vvent’ora,3 er bijjetto nun l’ha ttrovo:
Epperò de matina io mé li pijjo.

     Cristo, che ccarca!4 pieno com’un ovo!
Nun ce capeva ppiù un vago de mijjo.5
Le gradinate poi!... Io e mmi’ fijjo
Parémio6 propio du’ purcini ar covo.

     Che accidente de toro! D’otto cani,
A ccinque j’ha ccacciato le bbudella,
E ll’antri l’ha schizzati7 un mio8 lontani.

     E cquer majjóne9 vòi ppiù ccosa bella?
Eppoi, lo vederai doppodomani:
Bbast’a ddì c’ha sfreggnato10 Ciniscella!11

25 novembre 1831.

  1. Anfiteatro detto di Corèa, dal palazzo già della famiglia di quel nome, al quale è aderente. È fabbricato sugli avanzi del famoso Mausoleo di Augusto.
  2. [Bartolommeo.]
  3. [Cioè, quattr’ore prima dell’avemmaria, e due circa prima della giostra, che si cominciava verso le ventidue.]
  4. Calca.
  5. [Un baco, un chicco, di miglio.]
  6. Parevamo.
  7. In senso attivo: “scagliàti.„
  8. Un miglio.
  9. Toro castrone.
  10. Ferito con lacerazione.
  11. Cinicella, soprannome di un famigerato giostratore nativo di Terni. [Non trovo che questo fatto accadesse nell’anno in cui il sonetto fu scritto, e che è il primo del pontificato di Gregorio XVI. Dovette però accadere poco tempo innanzi, perchè il Moroni nel suo Dizionario (vol. LXXIII, pag. 249), parlando appunto dell’Anfiteatro Corèa, dice che Leone XII e Pio VIII, cioè i due immediati predecessori di Gregorio, “proibirono le giostre,... per eliminare le disgrazie che vi accadevano.„ Dalle quali parole impariamo pure, che se Pio VIII riproibì, Leone XII non era stato su questo punto ubbidito più di altri suoi predecessori. E per quanto il Moroni aggiunga che "il divieto si estese alle provincie dello Stato pontificio,„ a Terni almeno, patria di Cinicella e che dette sempre i più bravi giostratori, il barbaro divertimento fu in uso fin circa il 1860; e una giostra sulla piazza di Todi, ridotta appositamente ad anfiteatro, la vidi io da bambino, il 25 ottobre 1848; e un’altra, più scherzo che giostra, ce ne vidi l’anno dopo, sotto il Governo repubblicano, quando in mezzo alla piazza fu appeso a una corda un grosso fantoccio rappresentante il Radetzky, che naturalmente venne sbudellato dai tori.]