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Prefazione ccxxxv

che qui nessuno potrebbe ormai dire se abbia inventato lui copiato dal vero; reo d’illesa maestà, tremor de tarlerò, Anna Balena, massima der zangue, modo-propio (motu-proprio), dolori aromatichi, dijje un tesprofunni (un deprofundis), medico culista (oculista), farro de Messina, Giove Esattore, istruzzion de fédigo (ostruzion di fegato), brigantiere (brigadiere), biscredente (miscredente), caterinaria (catilinaria), re-bbarbaro (rabarbaro). Monte Paladino, rammaricante (amaricante), padre sputativo, eccetera, eccetera. Ciò che si può dire di certo è che ognuna di queste storpiature è tanto verisimile, che può perfino esser vera, senza che il Belli lo sapesse. Egli, insomma, ricava pensieri e forma dalla realtà effettiva, o da una realtà possibile ad ogni istante; affinchè i suoi versi (come aggiungeva lui stesso, trascrivendo nell’Introduzione la lettera allo Spada), "non paiano quasi suscitare impressioni, ma risvegliare reminiscenze.„

Un anno prima che scrivesse codesta lettera, quando cioè non aveva ancora trovata bene la sua via, né aveva ben chiaro in mente il disegno dell’opera sua, compose un lungo sonetto caudato: Devozzione pe’ vvine ar lotto (20 agosto 1830), in cui, come confessò poi nella prima nota, a una gran parte di vere superstizioni intorno al detto gioco, ne aveva mescolate non solo di verisimili (superflue, anzi dannose, in materia dove il vero abbonda), ma, peggio ancora, molte altre riferentisi ad altri soggetti; sicchè tutto il sonetto gli era riuscito non un ritratto, ma una caricatura del vero. E perciò, il 7 dicembre 1832, lo rifece, riducendolo a soli quattordici versi, di ottantanove che erano. E ridotto cosi, fa certamente rider meno, ma lo si ammira di più, e corrisponde assai meglio all’intento generale dell’opera.1

Una perfetta verisimiglianza s’incontra, dunque, in

  1. Ma io (o i lettori curiosi di far confronti me ne saranno grati) ho pubblicato anche il primo, come ne ho pubblicati anche altri,