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Con quali occhi io potea, scendendo a Dite,
Mirare in fronte il padre mio, la mia
Misera madre, ad ambo i quali io feci
Cose che un laccio ad ammendarle è poco.
1325Forse dolce il veder m’era i miei figli,
Nati come son essi? Agli occhi miei
Non già; nè Tebe, e la sua rocca, e i santi
Simulacri de’ numi, ond’io fra tutti
Quanti ha Tebani in sì solenne modo
1330Da me sol mi privai, tutti eccitando
L’empio a cacciar; quel che da’ numi impuro
Svelato venne, e del sangue di Lajo.
Or che tal macchia in me trovai, potea
Questi oggetti mirar con franco sguardo?
1335Ah no. Se dell’udito anco la fronte
Modo vi fosse ad accecar, già chiuso
Questo misero corpo anco le avrei,
Per veder nulla, e nulla udir: chè dolce
È trarre i dì senza sentor di mali. —
1340Oh Citeron, perchè raccormi! o tosto
Perchè morte non darmi, ond’io giammai
L’origin mia non rivelassi al mondo!
Oh Polibo! Oh Corinto! oh già creduta
Mia paterna magion, qual di malanni
1345Sotto bella apparenza in me nudriste
Infinita sorgente! Or ecco, un empio,
D’empj figlio io mi trovo. — Oh trivio! o selva!
Oh cupa valle! oh terra, che già il sangue
Del padre mio per le mie man beveste,
1350Ancor di me vi rimembrate? Oh quali
Io commisi appo voi colpe nefande!