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Ho girato tutta la città in questa notte di martedì grasso, annoiato e disgustato senza causa. Forse ricordavo l’altr’anno, con lei, in caffè. L’ho cercata per tutti i caffè, temendo di esser visto. Pensavo che le avrei rovinato maggiormente la serata. Povera putela.

Su per l’Acquedotto ho incontrato un condiscepolo, Nando Baul, che m’ha fatto entrare alle «Gatte». Era la prima volta che entravo in un caffè concerto. Guardavo la carne floscia e la gente che guardava. Il direttore d’orchestra aveva un naso terribile, e le canzonettiste ci facevano le spiritosaggini. Nando si divertiva, ma con ostentazione di esperienza. Nando aveva gli occhi lustri. Mi disse che qualche volta xe più bel. Credo. Saluti.

Feci un giro per Cità vecia sperando di trovare per le strade una sporca baldoria. Io sono ancora casto, ma come la vergine che guai a essere nei suoi sogni — dice all’incirca Nietzsche. Sono rimasto puro fisicamente per paura di malattie. Forse anche no. Del resto non importa. Mi sono fatto spiegare dai libri e dai compagni esperti, e ora sono qui nervoso ad annusare. Avrei gusto di vedere qualche scena: ma non c’è niente. Odor di piscio. Non ho coraggio di tener su la testa e guardare agli sburti.

Qua abbasso c’è le solite otto, nove che passeggiano con il loro andare di oche culone, incappottate sulla camiciaveste. Fin qui arriva il belletto rosso, qui comincia il viola del freddo, a zone. Come passo mi toccano il braccio: — ’Ndemo su mulo? — Divento rosso, passo via senza rispondere. Mi fanno schifo.


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