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s’irrigidì, si ritrasse, fece un piccolo tentativo di fuga, e cadde a gambe per aria. Il cortiletto risuonò delle sue grida e dei suoi singhiozzi disperati, e benchè il nano battesse col piede il suolo per castigarlo, ella non si calmò.

— Dio.... Dio! che male si è fatta! Poverina, che male.... che paura.... — balbettò Gavina.

— Ma è niente! E tu vuoi aver dei figli? Se ti spaventi così ogni volta che cascano!... — disse la zia Itria raccogliendo sul suo pancione elastico la bimba piangente, alla quale cominciò a parlare con voce infantile. — Ma che c’è, ma che c’è? Che hanno fatto a questa piccolina? Tutti le fanno del male, tutti, tutti! Ma la nonna ora prende un bastone grosso, e bastona tutti. Ecco, ecco! Ora sta’ zitta, però! Guardami un po’: più su, più su! Guarda un po’ la signora, su: ti darà il ventaglio. Non lo vuoi? Ti darà un pezzetto di zucchero. Quello, sì, ti conforterà.

Il nano, che conosceva a menadito la casa, andò a cercare la zuccheriera, ma per quanto Gavina si aggirasse intorno alla sedia della zia Itria, porgendo il ventaglio e avvicinando lo zucchero alla bocca della bimba, questa, pur cessando di piangere, non si rallegrò più. Non rise neppure quando il nano la baciò sulla gola per farle il solletico, ma emise uno strillo acuto e squillante come il suono d’un campanello; infine ai decise a prendere lo zucchero, e men-