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36 parte terza - capitolo iv [322]


padre della fanciulla, prese il feroce consiglio di farlo uccidere da due sicari, i quali seguendo loro costume lo rubarono ancora. Fu scoperto il fatto e la vergogna: e l’innammorata donna, sia che non lo credesse colpevole, sia che per aiutarlo volesse mostrare che tra le due famiglie non v’era odio di sangue, sia per altra cagione, ebbe cuore di sposare il fratello di chi gli aveva tolto il padre. Il giovane dannato a morte, bevve un veleno, ma fu fatto vivere per seppellirlo nell’ergastolo, dove sta da trent’anni, ed ancora si strugge d’amore e piange miseramente. Io non voglio dire né ricordarmi di altri, ché la mano non mi regge a scrivere: immagina qualunque piú nefanda scelleratezza, e tra questi uomini la troverai.

E in questo ergastolo tra questi uomini stiamo venti prigionieri politici, sei ergastolani, quattordici condannati da venticinque a trent’anni di ferri. Questi ultimi son tutti povera gente, condannati per avere con parole sparso il malcontento contro il governo; e tra essi sono sei miseri contadini di Gragnano, che la corte criminale di Napoli condannò come appartenenti ad una setta cosí detta Repubblica. Nell’ergastolo è Gennaro Placco giovane albanese di Calabria che combattendo valorosamente a Castrovillari perdé l’indice della destra mano: è Giovanni Pollaro siciliano che nello stesso combattimento perdé un occhio e mezzo naso; e siamo noi quattro E(milio) M(azza), S(alvatore) F(aucitano), F(ilippo) A(gresti) ed io L(uigi) S(ettembrini).

Per noi si usa piú rigore che per tutti gli altri: e solo quattro de’ nostri compagni condannati a ferri, disperati per la miseria, fanno i cucinieri ed i serventi per guadagnar qualche cosa. A che può esser condotta la virtú sventurata! Uomini puri, che amarono il bene senza ambizione, essere costretti a servire gli assassini e i parricidi! Noi dall’alta loggia dell’ergastolo con uno stringimento di cuore riguardiamo i nostri compagni di dolore strascinar pel cortile le pesanti catene: ed essi amorosamente ci salutano, e ci domandano un conforto, una speranza, che noi non abbiamo per noi stessi. I condannati politici son quasi i soli che vanno alla