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58 parte prima - capitolo vii


in mezzo ai giovani ai quali era compagno ed amico: con essi studiava, con essi passeggiava, con essi lavorava ai comenti dei molti classici che fece ristampare per diffondere la buona lingua; ad essi dava consigli, libri, avviamento; molti ritrasse da pericoli, a molti diede anche il suo. Sapeva bene il latino, bene il greco antico, parlava il moderno, benissimo il francese: pieno di motti e di lepori, ebbe animo sempre giovanile, e seppe mettersi a capo di dugento giovani senza dare sospetti a chi reggeva. Una volta mi disse: «Pare piccola cosa quella che io fo, ma quando sarò morto la intenderete. Se io vi dico di scrivere la vera lingua d’Italia, io voglio avvezzarvi a sentire italianamente, e avere in cuore la patria nostra. Tu vedrai altri tempi, e spero farai intendere ciò che io ho tentato di fare, e non dimenticherai l’amico della tua giovinezza». Degli scolari del Puoti alcuni sono rimasti fedeli alle sue dottrine ed hanno coltivato studi grammaticali, come il Rodinò, il Melga, il Fabricatore; altri di maggiore ingegno, e di piú larghi studi, le hanno interamente abbandonate, come Francesco de Sanctis ed Angelo Camillo de Meis, in quella guisa medesima che si abbandona i primi elementi in ogni disciplina e si procede innanzi nel vasto campo della scienza. Questi che io chiamo i maggiori scolari del Puoti ne hanno svolte e dilargate le dottrine, le quali anche nella loro primitiva strettezza sono vere e necessarie a tutti. L’opera del Puoti rimane e rimarrá sebbene trasformata dai suoi discepoli che vivono una vita novella, e non sono piú napoletani ma italiani.