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xlii coscienza letteraria di renato serra

difesa a oltranza d’un punto che gli pareva vitale, fondamentale: che cioè a leggere i poeti basta una cosa sola, l'intelligenza, meglio, un particolare dono, che si affina, non si acquista. Serra ebbe un’acutissima e quasi divinatrice intelligenza del fatto artistico, ebbe questo dono, che affinò con la quotidiana lettura, con la lima dell'esperienza: e se ne avvantaggiò, anche, l’arte sua di scrittore, la sua finissima penna. Così noi, arrivati a questo punto, non avremmo ancora detto tutto, se non volgessimo in ultimo la mente a quella che fu la segreta passione della sua vita, la passione delle passioni, dico d’imparar sempre meglio qualche particolare dell'arte dello scrivere, non solo per illeggiadrire la pagina, ma come prova e segno d'una pura conquista dello spirito.

A quell’arte già noi siamo andati assai vicino, quando abbiamo ritagliato dal gran quadro quei ritratti varii e diversi di Gnoli, di Fucini, di D’Annunzio, come una sorta di potenziamento e trasfigurazione di giudizi espressi o sottintesi, fiori dell'ingegno. Quelli sono altrettanti punti d'arrivo, nobili vittorie. E si potrebbero aggiungere certe finezze, certe fuggitive immagini, certe righe annotate rapidamente in margine, con febbrile mano; improvvisi lampi, ammicchi, sorrisi, moti d’assenso o sprezzanti dinieghi. Ma dove metteremo noi tutte le pitture di paese? Quella della Romagna, ad esempio, scandita e saliente, secondo un'idea di sentimento; e quelle altre di cui son tutte fiorite le lettere? Allora apriamo le lettere, e leggiamo e ricordiamo. Nulla di quella pacatezza ferma, quel fermo linguaggio, quell’umore, quel rigore estremo, che era nei ritratti, magri un poco e un poco schivi, con soavissime venature di riso, un riso, direbbe D’Annunzio, come