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168 scritti di renato serra


Ognuno ha sentito la gaiezza di suono e di moto nel terzo e nel quarto verso.... Volevamo rileggere senza fastidio di chiose, e non ci vien più fatto. Pare che queste piccole cose abbiano bisogno d’essere assaporate un poco per volta, fra una chiacchiera e l’altra come frutto gustato in compagnia d’amici. E così si vuol notare la malinconia che è diventata scherzosa, e poi riderà in una fantasia molto amabilmente goliardica; intendete per goliardica quella innocente bizzarria di amici letterati, che qui fiorisce nei ricordi delle belle novelle antiche, tra il fare popolaresco e quel del Pulci.


     Perch’io son Liombruno; e se donna Aquilina
m’ha dato il caro amore e in esso mi consolo,
pur tengo il par d’usatti; cammina che cammina,
arrivo insiem co ’l vento; e in dosso ho il ferraiuolo
con che, non visto, o amici, a voi sono presente:
e fo come la spugna che beve e non si sente.

E poi viene il momento della poesia. La descrizione della città, con la sua bella simmetria e aurea mediocrità di elocuzione, è quasi cornice entro cui si riaffaccia il paese amato, così semplice e povero; ma la retorica del principio rende più caro in fine il cuore, cuor di fanciullo che ricorda.


E se Palermo è bella, e da per tutto suona
che quattro strade in croce partono la città,
e un giro d’alti monti le fa real corona
formando l’aurea conca felice d’ubertà;
il cuor, che in picciol borgo nacque, pur là rimase,
ove non è che un argine, cinque olmi e quattro case.

Ci potremmo fermare come al testamento poetico e quasi all’epitaffio di Severino.