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766 nota bio-bibliografica


L’assassinio di Lazzaro mise la fazione dei Guinigi in serio pericolo. Se il delitto, come pur si mormorava, aveva trovato incitatori a Milano ed a Pisa, il momento non poteva essere più opportuno: mancavano infatti gli uomini migliori dei Guinigi, essendo Michele, fratello di Francesco, e Dino, cugino, troppo vecchi per poter prendere alcuna iniziativa, ed essendo morto, dopo Lazzaro ed Antonio (condannato a morte in seguito al delitto), anche il terzo figliuolo di Francesco, Roberto. Rimanevano, dei figli maschi, i due più giovani, Bartolomeo e Paolo. Per di più, la peste era entrata in Lucca nel settembre del 1399, e, benché se ne fosse allontanata col sopraggiungere dell’inverno, vi rientrò in primavera con tanta violenza da mietere, scrive il Sercambi, «più di cl persone per die»1. La città era perciò rimasta vuota dei cittadini più influenti e responsabili che avevano cercato scampo altrove. Si stentava a mantenere i servizi indispensabili. Il morbo, infine, colpi i figli superstiti di Francesco Guinigi: Bartolomeo ne morì, mentre Paolo ne uscì immunizzato.

Firenze seguiva intanto gli avvenimenti con la massima attenzione: anzi, per non lasciarsi sfuggire un’eventuale occasione propizia, aveva mandato delle truppe in Valdinievole e in Valdarno, pronte ad intervenire, mentre i fuorusciti lucchesi ed i nemici interni davano i Guinigi per spacciati, dicendo apertamente che ormai «la casa dei Guinigi non valeva uno boctone», e brigavano essi stessi coi fiorentini.

Approfittando di questa situazione, nella notte fra il 13 ed 14 ottobre del 1400, Paolo Guinigi convocò i membri della balìa creata qualche mese prima per assicurare i servizi più urgenti in tempi così calamitosi, e chiese i poteri assoluti. La mattina dopo corse la cittá senza incontrare alcuna resistenza.

Pare che il colpo di stato fosse stato architettato in ogni dettaglio dal Sercambi, come egli stesso dà ad intendere2, e da lui, allora Gonfaloniere di Giustizia, messo in esecuzione. Queste responsabilità gli diedero la fama, presso gli storiografi lucchesi risorgimentali3, di nemico delle libertà popolari, e gli venne rivolta l’accusa di essere stato il maggiore artefice della restaurata tirannide. Interpretazione dei fatti che potrebbe essere anche convincente se si isolassero gli eventi che condus-

  1. Cfr. la descrizione di queste giornate e del flagello in Cron., iii, 4 sgg.
  2. Ibid., 6-18.
  3. E specialmente il Tommasi (op. cit., pp. 286-88); per una esposizione più pacata degli avvenimenti, si v. anche la Storia cit. del Mazzarosa, vol. i, pp. 250 sgg. La difesa del S. fu presa dal Dinucci (art. cit., pp. 63 sgg.) con argomenti sui quali, tuttavia, non possiamo trovarci d’accordo.