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388 una catastrofe.

si annulla. Si soffre assai, prima: poi, viene l’atonia della coscienza, quell’orribile stato, in cui si è perduta la misura del possibile e dell’impossibile, la misura del giusto, l’atonia della coscienza in cui ogni concetto della realtà è finito, in cui si può far tutto, capite, far tutto! È la catastrofe ignobile, indegna di uomini, indegna di cristiani, la catastrofe che non finisce mai, che non ammazza, che fa agonizzare, e che non uccide, che fa ribrezzo, e non fa pietà. Non vi è lume, per vedermi, perchè io sono un disgraziato accattone, senza pudore e senza coscienza; ma voi sentite la mia voce, intendete la mia parola, voi, giovanotto! Non vi è catastrofe bella, nobile, decisiva! Io non ho neppure il coraggio di morire! Io sono un vile! Io mi fo ribrezzo!”

“Calmatevi, calmatevi,” fece Antonio Amati.

“Promettetemi che non farete il giornalista.”

Antonio Amati non rispose.

“Promettetemelo. Per ottenere questo, vi ho portato meco, dappertutto, oggi: vi ho fatto assaggiare l’amarezza, tutta l’amarezza di questa vita. Promettetemelo.”

Antonio Amati non rispose.

“Ve ne prego, figliuol mio, non smarrite la vostra via, non vi mettete in questo ingra-