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una catastrofe. 333

Joanna si accostò al tavolino di Antonio Amati, e gli domandò:

“Ha finito?”

“No,” fece l’altro, tutto vergognoso, “sa, è la prima volta....”

“Venga a far colazione meco.”

“Veramente.... sarebbe meglio, forse, che finissi l’articolo....”

“È sempre meglio far colazione, che fare l’articolo: se lo abbia per assioma. — Agabito, se viene il sor Rinaldo, ditegli che mi faccia un pezzo sulle conquiste dell’Inghilterra in Africa.”

“In Africa? Bene, signor cavaliere.”

“Se venisse la risposta di Sua Eccellenza....”

“La porto subito al signor cavaliere, alla trattoria.”

“Bene: veggo che capite. Vi farò dare due lire di gratificazione, rammentatemelo.”

“Veramente, signor cavaliere, vorrei che si rammentasse le mesate arretrate: la padrona di casa non mi fa aver bene....”

“È una donna immorale, essa offende la libertà della stampa. Addio, Agabito.”

Antonio Amati, pieno di meraviglia, seguiva docilmente Riccardo Joanna.


Mangiavano in una cattiva trattoria, di Via Rastrellieri, in una stanza bassa, dove si sen-