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— Tienile per te, mamma; a me non servono, lo sai bene — le disse Loreta, con un cenno di rifiuto.

— ... pure, sei cristiana, Loreta — mormorò Carolina, impallidendo e arrossendo.

— Sì, sì, ma lascia andare, mamma, lascia! — esclamò la disdegnosa figliuola.

La madre si ritrasse; covrì, con le mani un po’ tremanti, le immaginette sacre, abbassò le tenui palpebre per celare le lacrime, di cui erano velati i suoi occhi amorosi. In questo, la suoneria del telefono trillò; Loreta si precipitò a rispondere; ritta, a capo chino, ascoltava le parole che il suo fidanzato Carletto Valli, le comunicava, e a malgrado che le sue corte risposte fossero sempre corrucciate, le linee del suo viso si spianavano man mano; e le sue risposte si facevano più cortesi. E, infine, un vivo fremito di amore, parve vibrasse nella sua voce.

— A che ora? A che ora, Carletto? Non tanto tardi, amor mio caro, è vero? Non puoi, prima delle dieci? Perchè non puoi, dimmi? Almeno non te ne anderai presto, come ieri sera, cattivone mio, rimarrai, rimarrai, tardi, con me? — e sembrava ora che ella palpitasse, contro quello strumento, che portava all’altro la sua voce e l’impulso del suo amore.

— Sì, sì, ti mando un bacio per telefono... eccolo... eccolo, Carletto — e Loreta tentò di formare un rumore di un bacio, mentre sorrideva, beata.

La conversazione telefonica si chiuse. Trasfigurata, Loreta tornò presso sua madre, le buttò le braccia al collo, la baciò tre o quattro volte, mentre Carolina protestava, sottovoce:

— Loreta, Loreta mia... se ti ascoltassero, altri, che scorno!...

— Va là, va là, povera cara scema di madre, madre così innocente, che al telefono si odono cose molto più peccaminose, di un qualsiasi piccolo bacio, fra fidanzati! Se sapessi! — e Loreta rise, di uno riso fresco, malizioso e sarcastico.