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disinvoltura, il bene informato avvocato Giulio Cortese.

— Certissimamente: non un giorno di più — confermò, borioso, Ivo Ranaldi.

— lo vado in Croce Rossa: il costume bianco è così carino; i feriti sono così interessanti! — disse, languidamente, Ginetta Stresa.

— Dalia e io, avvocato Moles, siamo pronte, lo sa? Facciamo un nido di poppanti; pesiamo i neonati nella bilancia; diamo il biberon....

— Che cosa graziosa, è vero? — proclamò la gemella Dalia.

— Facciamo una pouponnière, avvocato Moles, con Dalia — ripetette, come un fonografo, la gemella Delia.

E poichè tutti avevano liquidato quel qualsiasi argomento, ed era tardi, cominciarono a salutarsi, prendendo congedo, dandosi dei convegni mondani, al thè dell’Exeelsior, è vero, domani, dopo le corse, o al Cinema Corso, ove si proietta Teodora, bellissima film, alle cinque, alle sei: e cinguettavano, dando distrattamente la mano al padron di casa, che, muto, accigliato, tendeva una mano molle e lasciava subito ricadere l’altra... Le donne abbracciavano ridendo, donna Barberina, Biribì, come la chiamava Ginetta Stresa: gli uomini sogguardavano la padrona di casa, le baciavano la mano, a lungo. Accanto a Camillo Moles, stava sua sorella Magda, immobile: e i suoi occhi grossi,— si arrossivano di lacrime represse, dietro la veletta, la sua larga bocca pallida si torceva, per soffocare la sua voce e i suoi singhiozzi: Mario Falcone, in un angolo, solo, annoiato, disdegnoso, fumava una sua sigaretta. Barbara adesso, era tornata indietro, dall’aver accompagnato la sua piccola società; con le dita lievi, si lisciava i capelli un po’ scomposti; passando, rettificò la posizione di alcune sedie, scostò un tavolinetto: venne verso suo marito. Costui, distratto, cupo, non la scorse: ella si chinò verso lui, tenera e provocante, insieme, lo chiamò, con voce carezzosa: