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zavano, stretti Tuno all’altro, guardandosi di sottecchi, con qualche sorrisetto di acquiescenza segreta, dimentichi degli altri. La prima a smettere fu Ginetta Stresa, dai grandi occhi oscuri, bistrati di tristezza; ella venne a sedersi presso il pianoforte, a un angolo del banchetto, su cui era seduta la suonatrice del tango.

— Che hai, Ginetta? — le disse, piano, Barbara.

— Ho che Roberto mi lascia.... mi lascia.... — gemette, piano, Ginetta Stresa.

— Perchè non lo hai lasciato, tu, prima? — ribattè, piano. Barbara, scuotendo il capo — te lo avevo suggerito tante volte....

— Io lo amo, Biribì.... — gemette, in un soffio Ginetta Ginetta.

— Stupida, stupida, stupida! — proruppe, brusca, ma sempre piano Barbara. — Lo vedi, là, don Manuel? Quello comincia ad averne abbastanza, di me.... ma io sono arrivata prima.

— Oh Barbara, tu sei un’altra cosa — sospirò l’amica.

— Prima, primissima sono giunta... — disse l’altra, con un sorriso feroce di gioia, subito represso sulle labbra.

— Un altro? Un altro? Chi è? — disse Ginetta, fra sorpresa e sgomenta.

— Non si dice.... non si dice.... — e la suonatrice sorrise, come a una visione.

Le due mani profumate suonarono le ultime note morenti del tango. Barbara si levò e andò incontro a un’alta e forte signora, dal viso rossastro, sotto il gran cappello piumato, vistosamente vestita, con due grossi solitarii, alle orecchie, e al collo una catena tessuta di perle, da cui pendeva l’occhialino d’oro, portante una sontuosa pelliccia, troppo pesante in quel cadente aprile.

— Oh donna Clara, che piacere di rivederla!.— esclamò con un perfetto tono di falsa cordialità mondana, Barbara Moles, tendendole le due mani.

— Mia piccola e bell’amica, lei sa che ho poco tempo disponibile.... — disse con aria importante