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70 La grande fiamma


dola del carcere che avendo preso alla stazione i carcerati e i carabinieri, li conduceva per la laguna, alla tetra dimora. Grazia seguì con l’occhio il nero convoglio filante sulle acque; poi abbassò il capo sul petto, reprimendo le ardenti lacrime che le salivano agli occhi. Fu più innanzi, in un canale laterale che si lega al Canal Grande nel sestiere di Dorsoduro, che incontrarono la più tetra barca della laguna. Era tutta nera, come le altre, ma mancava di quella grazia civettuola della gondola di passeggiata: non aveva, a prua, il rostro lucido; era più larga, più piatta; si dondolava goffamente sulle acque: e i due gondolieri, invece del solito gabbano fra cittadino e marinaro, invece del solito berretto, portavano una giacchetta nera e un cappello a cilindro, con una coccarda nera. Stava ferma, la gondola, innanzi a un portoncino aperto; due o tre donne erano sotto il portoncino.

— Che è quella gondola? — disse Grazia al gondoliere, scattando in piedi.

— È la gondola dei morti, eccellenza: quelli sono i becchini.