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46 La grande fiamma


— Quello che hai tu — rispos’ella, enigmaticamente.

— Non parlare di me: io sono una quercia fulminata. Tu non puoi essere come me; sei così giovane, e così bella, Grazia, e così destinata alla felicità!

— Io ho paura.... paura....

— Di che, amore, hai paura?

— Della vita.

— Fole! — egli esclamò, sorridendo nella penombra.

— E della morte, della morte, assai più.

— La morte è lontana — fece lui.

— Taci, taci — mormorò Grazia — forse passiamo innanzi a un altro cimitero.

Quasi presa da un vago ma forte terrore, ella si era stretta a lui, infantilmente, poggiandogli la guancia sulla spalla, chiudendo gli occhi. Quei due sportelli su cui non erano tirate le tendine di lana, quegli sportelli oramai neri, nella sera fitta, affascinavano la donna, come se fossero aperti sull’infinito. Egli se ne accorse, vedendola immobile, estatica, con gli occhi sbarrati sul nero orizzonte che fuggiva