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la mano tagliata. 407

fra Kiew e Odessa, fra Karan e Varsavia. Segrete consultazioni mi chiamavano spesso nella notte, e io avevo nelle mani molte grandi anime e molti grandi cuori, maschili e femminili. Malgrado che l’accesso presso Maria Cabib mi fosse negato, io era certo di penetrare sino a lei e di sedurre il suo animo ritroso. Già, lentamente, con un lavoro quotidiano e continuo, io aveva vinto l’animo di Mosè Cabib. In fondo, quest’uomo era estremamente mistico nel suo animo di ebreo calcolatore. Egli era un singolare miscuglio di banchiere e di sognatore, un uomo che non temeva gli uomini, ma che temeva i fantasmi, un uomo che avrebbe spogliato suo fratello, ma a cui l’ipnotismo dava un terrore strano, mentre esercitava su lui un gran fascino. Due o tre volte, in casi complicati e bizzarri di isteria, di seconda vista, di suggestione, io avevo voluto che Mosè assistesse ai miei esperimenti e lo aveva visto esterrefatto e tremante levare gli occhi su me, come sopra una possente miracolosa immagine. In quell’essere ignorante, malgrado la sua furberia, io sentiva di poter agire sicuramente e vittoriosamente, io sentiva di potermi impadronire di lui, per poter essere padrone successivamente della donna che egli troppo indegnamente possedeva.

«Certo, la passione ardeva in me già possente e senza alcun pascolo, salvo delle più lontane speranze. Non mi era dato di vedere la bellissima donna che rarissimamente, in qualche spettacolo pubblico, dove suo marito la conduceva a malincuore, e dov’ella appariva sfarzosamente vestita, carica di gioielli, altiera e taciturna, non degnando neanche di rivolgere i suoi fieri e superbi occhi su me, o sogguardandomi con tale glaciale indifferenza, da darmi un brivido di terrore. Io, però, ebbi la forza di non fare nessun passo falso; non tentai neppure di penetrare in casa, prima di