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158 la mano tagliata.

dico gobbo si era ricomposto, sotto uno sforzo di volontà. Egli aveva dominato tutta la interna angoscia, come era solito di vincere la volontà altrui. Solo, un resto di pallore rendeva più tetro il suo viso e più profondi i segni scuri, sotto gli occhi.

La veloce e fine carrozza entrò come una freccia sotto il maestoso arco del portone: il guardaportone dette un colpo sul gong indiano che era sul primo pianerottolo di marmo e il singolare suono si ripercosse per l’ampia scala, dove, in cima al primo piano, sotto una pesante portiera di broccato, erano immobili due staffieri, in livrea. Nella vasta anticamera tappezzata di un rosso scuro non vi era nessuno; in un alto caminetto ardeva un fuoco vivissimo e un’aura calda, eguale, carezzava il volto. Marcus Henner si fermò in anticamera, un minuto, come se pensasse qualche cosa: poi, decisamente, entrò in una seconda stanza. Anche questa era messa con un lusso principesco: ed era, viceversa, piena di gente che aspettava, seduta nelle poltrone, nei seggioloni, sui divani. Erano persone di tutte le età e di tutte le condizioni, vecchi, giovani, fanciulli, poveri e ricchi: per lo più delle facce pallide, dei corpi abbattuti, stanchi, delle fronti preoccupate e delle bocche senza sorriso. Erano i malati del dottor Marcus Henner che, da un’ora e mezzo, aspettavano pazientemente che rientrasse.

Appena egli apparve, molti fra coloro si levarono, cercarono di prendergli la mano, di parlargli, di raccontargli una parte delle loro miserie: fra cui una donna smorta, magra, con una bocca dolente e livida. Ma egli, senza salutare, senza fermarsi, attraversò quella sala, chiuso nella sua pelliccia, con un’aria di persona che non veda e non senta nulla. La porta si richiuse dietro a coloro che vi si accalcavano, e, attraversando altri due salotti deserti, si trovò nel suo studio.